Impressioni di una domenica sul Monte Morello
di un nostro carissimo trekkingappiedista!
Avventure sul Morello
E' prorpio lui che divide Firenze dal Mugello; lui il "monte a 5 punte" chiamato Monte Morello.
Tutti hanno sentito dire delle tre punte, Poggio Casaccia, Poggio all'Aia, e quella di mezzo che nessuno si è dato la pena di chiamare; ma tu che ci sei stato lo sai. Sai che le punte sono cinque.
Ti sei levato presto sperando di incontrare una bella giornata e della buona compagnia. E ti è andata bene. Sei salito chiacchierando, sbufando a tratti. Ti hanno parlato di favolose raccolte di funghi, di cucina, di lavoro. Hai raccontato le tue storie, del tuo yogourt preferito, dei colleghi, dei precari. Tutto filava liscio. Il sole scaldava abbastanza, nonostante il gennaio dai mattini gelati. Mancavano gli uccellini, ma i panorami dalla montagna pistoiese fino al santuario di Monte Senario ti ricompensavano di tutte le fatiche. Avete incontratto i cacciatori di fringuelli che dicevano di essere lì tanto per far fare una giratina ai cani, i quali mostravano di gradire saltellando qua e là, strusciandosi curiosamnte sull'erba. Tutto era filato liscio fino a poco sotto la prima punta, detta Poggio de Giro, quando la Lucia, con la faccia un po' tirata aveva sospirato mi dispiace, mi fa troppo male il ginocchio.
Dopo i soliti consigli inutili da parte di tutti, lei il marito e l'amica ti hanno salutato con quel'affetto che nasce sempre dalla condivisione di una fatica e di una speranza. E sono tornati sui loro passi. In cinque avete ripreso il sentiero. Ti sei lasciato dietro le installazioni delle antenne che occupano Poggio, controllando tutte le reazioni del corpo: il repiro era buono, il dolorino al talone era scomparso, le mani belle calde testimoniavano che tutto il resto era alla giusta temperatura. Si era in discesa. Si sentivano lontano dei richiami forse dei cinghialai. Ti hanno raccontato, sulla spiananta di Fonte dei Serpi, di quella volta al campeggio a Livorno quando alle due di notte sono tornati da una discoteca i due gay della tenda vicino ed hanno piantato una scenata di gelosia, ad alta voce da svegliare tutto il campeggio e, udite udite, in dialetto livornese.
Ora, te lo sei immaginato benissimo, li hai sentiti tante volte e le risate ti hanno distratto dall'inizio della salita. Hai pensato che livornesi erano quelli che hanno preso in giro i più prestigiosi storici dell'arte con la storia delle teste del Modigliani fatte con il Blak-deker, quindi che almeno un sospetto che fosse una sceneggiata era doveroso. Però sembra che la cosa fosse molto credibile perché nessuno nelle tende vicine ha fatto nemmeno uno ssst; tutti volevano sentire come andasse a finire. Anche tu non avresti voluto perdertele le batute tipo 'brutta troia gli hai messo la lingia in bocca' detto da un gay arrabbiato in dialetto livornese. Comunque sembra sia finita bene perché al mattino i due eroi notturni erano di nuovo mano nella mano a sorridere al sole. Però ora il sentiero dritto sul groppo di Poggio Casaccia aveva azzittito tutti ed eri in testa cercando di zigzagare e di tenere il passo. I due dietro sono appiccicati e ad ogni tornante ti usano il rispetto di non sorpassarti.
Le donne sono rinaste un pochino indietro. Ora devi respirare profondo, ritmicamente, anche con la bocca. Tiri, insisti. Ci sono dei gradoni che ti rallentano e il polpaccio è sempre in tiro perché la pendenza non permette di poggiare il tallone. Senti che stai rallentando nonostante ce la metti tutta. I due dietro approfittano di un tornante più largo per tagliare e sfrecciare via; dopo pochi secondi non li vedi più. Ti dai un passo sostenibile. La vetta sembra sempre sfuggire un poggio più in là man mano che sali. Ti consoli con il sorriso di saluto di una famigliola che scende. Senti il cuore insistente. Ti proponi di non fermarti fino alla cima. Il sentiero spiana. Ce l'hai fatta. Ti accolgono due nuovi amici del gruppo con cui avevate appuntamento giù in basso ma che ti hanno preceduto da altri sentieri. Arrivano anche le due ragazze per nulla affaticate. Seduti sotto la croce si mangia, si scatta foto da mettere sul sito, si riconoscono le vette lontane, le apuane, monte ferrato, il pisanino.
Ti raccontano di viaggi, di avventure, di progetti per la prossima estate. Tu ripeti la storia di quando al lago Scarfaiolo eravate come ora su un prato a godevi un panino e il sole e il luccichio sulle onde quando sono passati sulla riva una sorta di boy scout con cui vi siete salutati e quando avete risposto che eravate lì per fare trekking, il loro capo sorridendo aveva commentato ' beh a vedervi così non si direbbe'. Stare fermi fa entrare il freddo e allora si riparte per quella che tutti pensano sia la terza punta. Il versante a nord è ancora più fresco, la vegetazione più densa. Non si fatica per un po' di saliscendi senza fermare alla punta intermedia e siamo alla croce piccola di Poggio all'Aia. Sotto di te il Mugello. Un altro grupo di ragazzi bivacca al sole. Si alza uno che ti saluta. È Marco; con cui hai fatto tante altre escursioni, saluta gli altri. Sembra che su queste cime sia più facile incontrarsi che in un centro commerciale. Lui sembra quasi scusarsi per essere salito fin qui da Sesto senza il nostro gruppo. Ancora abbracci, saluti, promesse di rivedersi. Siete di nuovo in cinque per proseguire nel giro. Sulla cartina l'anello sembra più una farfalla smisurata.
Ora conduce Enzo, con passo sicuro, siamo sul lato oscuro della montagna, ci sono ancora delle parti gelate. Quando il sentiero riprende in piano passiamo davanti una fila di cacciatori di cinghiali con i loro giubbotti arancioni, il loro presentat arm, i sorrisi rassicuranti ma non troppo, qualche fiatata alcolica. Ci dicono che hanno preso qualcosa questa volta. Scendiamo ancora lungo un terreno friabile. Riprendiamo da un tornante in direzione opposta. Ci viene incontro un gruppo di uomini affaticati, che tirano una corda a cui è legato per il muso e per le gambe un cinghiale morto. La bestia è trascinata sulle foglie secche, sui ciotoli, sui rami, le sue setole nere resistono e scivolano via. Salutiamo. Il sentiero risale. Fai presente che non stiamo andando nella direzione attesa, che stiamo tornando in quota, che sta facendo buio. Ma la cartina dice così e non sarebbe prudente tagliare per boschi. Ti aspetavi di scendere tranquillo ed invece ti annnciano che si risale a 800 metri. Lassù c'è la quinta punta: Pogggio Capannelle. Passate due sorgenti. Sicuramente qui venivano ad abbeverarsi i cinghiali. Si risale lungo una faggeta che di primavera dovrebbe essere piena di verdi teneri e cinguettii. Ora ti giri indietro e non puoi che definire questa la valle lugubre. Il sole dall'altra parte della montagna lontano, sul mare di Viareggio sarà già tramontato. Si camina sparpagliati, Enzo è semre avanti. Il raccoglitore di funghi lo segue senza fatica. Tu vuoi chiudere la fila per ridare compattezza, per spronare le due ragazze. Ma perdi il passo. Anzi, ti accorgi che ora le gambe vanno da sole. Sali ma non senti la fatica di stamani. Macini quote e clinali. Ti mostrano delle bacche blu. Non sono mirtilli, ovvio non è agosto. Normalmente ti interesseresti, ma ora inizi ad essere preoccuoato e pensi solo ad uscire da questa valle.
La vetta finalmente arriva ma non è un evento, il panorama si confonde con l'imbrunire. La guida ci rassicura che comunque abbiamo due torce. Commenti che questa girata per gennaio era un pochino sovradimensionata. Enzo calcola che per arrivare alle macchine ci vorranno ancora due ore. Il sentiero in discesa per bei tratti è gelato, a tratti è un lungo tunnel di rovi e di una strano arbuso dai rami angolosi piena di licheni che ti aspetteresi in un film vampiri. Un rovo ti prende il cappuccio del giubbotto e ti costringe ad un inchino ma la manova migliora la sua presa che ora comprende i tuoi capelli. Ti aiutano a liberati. Hai solo una spina nel mignolo. Ma sei di nuovo a passo veloce sul suolo a croste che presto diventa un piccolo vallone di scorrimento pieno di ciotoli. Riesci a scambiare qualche chiacchiera sugli scarponi che per questo terreno risultano troppo leggeri. Siete ad una fattoria con cani in grande allarme. Ci sarebbe una stradina bianca da seguire, ma vi infilate in un bosco seguendo i segni del CAI bianchi e rossi sui tronchi, costeggiate un torrente molto più in basso, in una gola sempre più buia. Si accendono le torce. Il raccoglitore di funghi è il più attrezzato. Ti metti in coda alla fila, perché non ti va che la tua guida rimanga indietro. Cerchi di percepire se dal torrente viene qualche rumore d'acqua, e a tratti sembra come di chiocciolio di una cascatella. Commenti che è da tanto che non piove e qualcuno avanti risponde che è previsto brutto per venerdì prossimo; ora potete stare tranquilli. Ti allacci per bene il giubbotto fin sotto il mento dopo un tornante, prima di attaversare il letto del torrente. State attento a dove mettere i piedi: sopra una paratia artificiale prima di un invaso predisposto evidentemente per proteggere la strada sottostante da smottamenti. Siete sulla strada bianca e tutti indovinano che si deve andare a sinistra. Iniziano ad arrivare le telefonate dei familiari. Il paesino di Paterno nella gola che attraversate sembra deserto, ma le macchine parchegiate qua e là fanno la spia di presenze discrete e rintante al calduccio. Sembra strano trovare una insegna di Hotel, Ristorante tra queste casone anonime dai muri scalcinati.
Magari d'estate, se si conserva questa aria e questa frescura, anche gli stranieri potrebbero apprezzare. Ti giri indietro e scorgi Venere brillante su uno velluto blu, proprio sopra il profilo della montagna che hai salito e disceso oggi. La strada piana e deserta, fresca di costruzione, compie ampi archi assecondando le anse di un fiume invisibile più in basso. Di fronte orione con tutte e quattro le stelle sopra l'altro orizzonte. La tua vicina commenta che le tre piramidi più grandi d'Egitto sono messe proprio come le stelle della cintura. Ti ricordi che anche le cattedrali più grandi di Francia sarebbero messe copiando la disposizione della costellazione della Vergine. Lei aggiunge che gli antichi volevano riportare il cielo sulla terra. Continuate con i misteri delle tecniche costruttive e le capacità sorprendenti, sempre degli antichi. Ma ora siete sulla bolognese e bisogna procedere in fila indiana rasente il paracarri di sinistra perché vengono un sacco di macchine, la strda è stretta e veloce. Sei sempre l'ultimo della fila, ogni tanto quelli davanti puntano una luce verso di voi in fondo. Si procede in silenzio. Avete superato la metà del percorso in piano. I fari delle macchine lasciano pochi attimi di profondo buio. La tua risorsa è il telefonino che con un languido baluginio ti permette di scorgere il ciglio dell'asfalto dove cammina la guida, dove poi metti i piedi tu. Puoi fare un bilancio di questa prova inattesa: le gambe vanno senza sforzo, il respiro è regolare, non è freddissimo, hai camminato forse il doppio delle ore che ti aspettavi e inizi pensare che sei capace di superare una prova imprevista, che mentre eri a risalire la velle lugubre ti scocciava, ma ora era bello perfino ricordare il povero cinghiale che avrebbe di sicuro preferito non comparire sulla scena.
Appaiono le prime luci di Fontebuona dove avete parcheggiato. La tentazione di fiondarsi nel bar-alimantari è forte, ma bisogna tornare alle famiglie, alle abitudini; con una nuova consapevolezza.
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